L’ultimo uomo bianco

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La paraculata dell’editore che cita “La metamorfosi” di Kafka in quarta di copertina andrebbe punita con il 41-bis. Tutta la descrizione in realtà è uno specchietto per le allodole, perché lascia presupporre fuoco e fiamme tra le pagine mentre invece vi si trova solo fumo. E nemmeno di buona qualità. All’inizio, sia per l’idea di base sia per lo stile di scrittura, avevo perfino azzardato qualche somiglianza con Saramago ma me ne sono pentito presto, credo fosse conseguenza proprio del fumo. Perdonami José. Va detto che quell’idea era curiosa: la gente che dall’oggi al domani si ritrova con la pelle nera sino a che i bianchi scompaiono poteva rappresentare uno spunto creativo per qualsiasi argomento e per qualsiasi genere. Purtroppo non viene sviluppato nulla al di là della storia d’amore tra i due protagonisti, del loro rapporto con i genitori e di qualche disordine in città, appena accennato, causato dalla mutazione. Resta un romanzo sufficiente per il fumo che invoglia a leggerlo e terminarlo. Diventa mediocre quando l’effetto del fumo finisce e ci si ritrova con un po’ di nausea.

Mohsin Hamid – L’ultimo uomo bianco

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