L’estate, più delle altre stagioni, è sinonimo di viaggi, mare o montagna, sole, feste, passeggiate, refrigerio, relax. O anche avventura, sapori nuovi, cocktail con l’ombrellino, villaggi vacanze. Paesi da conoscere, gente da incontrare, lingue da parlare, guide da consultare, ricordi da fotografare, oggetti da comprare, prestazioni da pagare.
Vado anch’io finalmente. Ho scelto un posto caldo quest’anno. Così caldo che non c’è acqua corrente. Perché non ci sono le tubature e gli impianti idrici e fognari. Ci sono i pozzi e i recipienti da riempire e trasportare per chilometri. Nel periodo delle piogge che lì sta per arrivare, l’acqua cade ma rovina tutto. Pure le strade che non esistono e il raccolto che già di suo è scarso. Diventa difficile spostarsi con i pochi mezzi a disposizione perché ogni pozzanghera può nascondere una buca profonda. Si cammina a piedi quindi e si cammina tanto. Senza scarpe perché non le ha quasi nessuno e chi se le può permettere preferisce comprare qualcos’altro per sopravvivere, come cibo o cure mediche o parvenze di cure mediche. Perché anche i medici non ci sono. C’è un poliambulatorio con un tavolo operatorio che assomiglia a un barbecue in pietra su cui arrostire le salsicce e qualche letto con i materassi in pelle bucata provenienti da chissà quale divano di chissà quale donazione. Non ci sono medicine e gli pseudo farmaci che esistono non curano tutti i mali e non possono nemmeno essere distribuiti perché nessuno ha competenze per farlo. C’è un ospedale, in città. Ma la città è così lontana che, se riesci ad arrivarci, vuol dire che stai bene e non hai bisogno di cure. Poi muori il giorno dopo e forse è meglio che morire il giorno dopo ancora, in ogni caso non arrivi a cinquant’anni. Ecco perché ci sono tanti giovani, l’età media della popolazione è di diciassette anni. Vuol dire che a venticinque, se sei vivo, sei un superuomo. E sei pulito e incontaminato. O forse solo incontaminato perché pulito è difficile esserlo. Il verbo lavare non esiste. Lavarsi è quasi impossibile e non previsto da una cultura che da troppo tempo non sa cosa sia l’acqua. C’è la terra, secca e dura. C’è l’aria pura e c’è la malaria. Ci sono le zanzare bioniche geneticamente modificate. Ci sono gli asinelli che non si lamentano mai. Ci sono quelli che si lamentano perché stanno male e quelli che stanno male e non si lamentano, anzi sorridono. Come i bambini, che sono tanti. Dagli una palla, forma due squadre, mettili in campo ed ecco il calcio che piace a me. Si corre, si suda e non c’è acqua, spogliatoio o doccia. Ma ci sono l’entusiasmo e gli abbracci per un gol segnato senza porta e a piedi nudi.
Già, senza scarpe. Riprenderò un cammino che non ho mai interrotto. Porterò poche cose con me e tornerò con un bagaglio di ricordi pesantissimo perché, come mi disse un’amica una volta, in un’esperienza di volontariato paradossalmente è proprio chi parte che ne trae il maggior beneficio. E io sto partendo. Sto per compiere un altro passo e inizio a slacciarmi le scarpe non perché mi fanno male ma perché voglio segnare anche io un gol a piedi nudi.
Se vuoi…