A Lisbona, nonostante avessi buoni motivi per evitarla, non ho potuto fare a meno di incontrare, conoscere, frequentare e amare una fantastica parola portoghese che risponde al nome di saudade. Il termine sarebbe già stupendo anche senza un significato, invece il significato ce l’ha e ho scoperto che è intraducibile in qualsiasi lingua. Ne parla persino la guida in un paragrafo dedicato: “come un pugnale che affonda nel cuore”, così i portoghesi definiscono questo particolare sentimento di malinconia. Una parola che non trova una traduzione adeguata nella nostra lingua, un mix di mestizia e nostalgia, tristezza e sentimentalismo. Mi sono proprio innamorato di lei, a tal punto da portarmela a casa. La saudade è l’ingrediente principale, a volte unico, del fado, il genere musicale per eccellenza del Portogallo. E’ lì che mi ha conquistato ma è qui e ora che sta dando il meglio di sé e me lo dimostra ogni giorno, con una passione a tratti soffocante.
Ho provato a inquadrarla da subito e, da bravo ignorante, il primo posto in cui sono andato a cercarla è stato Wikipedia. Mi si è aperto un mondo leggendo di lei e della sua storia. Perché chiunque, specialmente chi prova a scrivere, almeno una volta nella vita ha affrontato emozioni e sentimenti che non si possono descrivere con le parole; qui invece è la parola, fantastica, che non trova un suo preciso riscontro nelle emozioni e nei sentimenti, se non miscelandoli tra loro in un cocktail comunque non appagante.
Leggo che innumerevoli autori di lingua portoghese hanno provato a dedicare canzoni e poesie alla saudade e nessuno è riuscito nell’intento di trovare una definizione che non fosse personale. “La saudade è mettere in ordine la camera del figlio morto” (Chico Buarque), espressione terribile e meravigliosa, può darsi, ma c’è sicuramente anche altro. Sempre Wikipedia (OK, non sarà la legge, in giro però circolano le stesse informazioni), dice che si può avere saudade di molte cose:
- di qualcuno che non c’è più;
- di qualcuno che amiamo e che è lontano o è assente;
- di un caro amico;
- di qualcuno o qualcosa che non si vede da tantissimo tempo;
- di qualcuno con cui non parliamo da molto tempo;
- di un luogo caro (la patria, il proprio paese, la propria casa);
- di un cibo;
- di situazioni;
- di un amore.
Io ho saudade di un po’ tutti questi punti. Persino del cibo, con la tiella, una specie di pizza/focaccia ripiena buonissima che ho potuto mangiare solo due volte nei miei anni e ancora me la ricordo. Ho saudade della Sicilia, una terra che mi manca e non mi manca per niente, e di una marea di situazioni che non vivo più e che vorrei vivere o forse voglio sperare di rivivere o che voglio vivere sperando.
Ancora Wikipedia: Antonio Tabucchi, raffinato conoscitore della lingua e cultura portoghese, spiega la saudade come un senso di nostalgia tanto legato al ricordo del passato quanto alla speranza verso il futuro. Cazzo se è vero. Mi identifico pienamente in ognuna di queste definizioni a tal punto da pensare – io che non credo in niente – che non sia stato un caso essermi ritrovato a Lisbona in una fase della mia vita un tantino tormentata. Il caso non esiste, diceva il maestro Oogway e chi non ha visto Kung Fu Panda merita la sua saudade.
Adesso vorrei quasi scriverci un saggio, prendendo e incollando tutte le interpretazioni che mi sono capitate tra le mani. Sarebbe però un lavoro infinito e alla fine inutile. La saudade non si può spiegare né raccontare. Vorresti non averla ma, se non l’avessi, ti mancherebbe perché ti farebbe sentire vuoto e rassegnato. Chiaramente, per provarla, deve trovarti in un contesto adeguato, non è mica una malattia che viene e va via. Io il mio contesto ce l’ho, la tiella, la Sicilia e tutto il resto e so che di saudade non si muore, eppure nemmeno si vive.
Se vuoi…