
Tramite bookcrossing, mi sono imbattuto casualmente nel secondo romanzo di Patrick Süskind, scrittore noto praticamente solo per “Il profumo”. A me, perlomeno. Non conoscevo questo suo altro libro, come tutti gli altri suoi libri in generale e non lo avrei letto subito se non fosse stato che, il giorno stesso, un amico mi ha raccontato di aver mangiato a pranzo, in un ristorante gourmet, proprio un piccione. Inutile sottolineare che la cosa mi fa ribrezzo ma la coincidenza ho pensato potesse essere un segno, convinto della teoria secondo cui i libri ci chiamano. E così l’ho letto in poche ore. È un romanzo breve, che lo stile di Süskind rende molto scorrevole, nonché curioso e ricco di spunti di riflessione. Il protagonista non è il volatile ma un uomo che, a seguito di un paio di esperienze traumatiche, si è costruito una vita monotona e priva di sorprese, in cui pianifica con precisione la routine quotidiana, evita il più possibile il contatto con altri individui e mantiene la pace interiore rifugiandosi nel monolocale dove abita, il porto sicuro in cui si sente protetto dal mondo esterno. Una mattina, aprendo la porta per recarsi al bagno condiviso del piano, si trova davanti un essere immondo che lo fa rabbrividire: entrato da una finestra aperta, il pennuto ha sporcato dappertutto e sembra guardarlo con un occhio indagatore. Per l’uomo, il piccione rappresenta il caos e l’anarchia che scompiglia le sue abitudini e lo getta nello sconforto. Fugge quindi da casa e, nel tentativo di non perdere l’equilibrio raggiunto dopo tanti anni, si confronta con le proprie paranoie, al punto da sprofondarci dentro, rassegnarsi e meditare addirittura di uccidersi. Toccato il fondo, tuttavia, il delirante flusso di pensieri lo guida verso una nuova consapevolezza, dandogli fiducia. Il piccione, ultimo baluardo delle sue paure, deve essere affrontato e sistemato per bene. Magari a tavola…
Patrick Süskind – Il piccione





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