
Un uomo decide di abbandonare i suoi averi e la sua identità per vivere all’interno di una scatola che copre quasi interamente il suo corpo. Non lo fa per una forma di protesta o per arte. Soltanto per diventare invisibile, per annullarsi e non sottostare allo sguardo degli altri, mentre lui al contempo osserva il mondo circostante da una fessura all’altezza degli occhi. Sostenuta da un gancio sulla schiena, la scatola contiene piccoli oggetti essenziali, per un minimo di pulizia, per mangiare e anche per scrivere. L’uomo scatola infatti tiene un diario delle sue giornate vagabondando per Tokyo e il romanzo è rappresentato sostanzialmente dai suoi pensieri, che disorientano sia lui sia il lettore. Gli avvenimenti, a metà tra realtà e immaginazione, non sono mai del tutto lucidi e non permettono di comprendere la storia fino in fondo. Dentro la scatola l’uomo trova la sua dimensione, fuori invece la mette in dubbio, in particolare quando si confronta con personaggi enigmatici che, in un gioco di ruoli e finzioni, influenzano la sua stessa percezione di esistere. Libro spiazzante, che da un lato si dimostra interessante per l’originalità e per i temi trattati (vuoto interiore, solitudine, alienazione, rifiuto della realtà, paura e bisogno di essere o non essere visti), dall’altro purtroppo si chiude esso stesso in una scatola e non la apre ad interpretazioni chiare ed univoche. Di fatto, non ci ho capito granché. Ho avuto la stessa sensazione di quando si riceve un regalo impacchettato con tutti i crismi e si sta lì, per un tempo indefinito, con un pizzico di emozione, a cercare di scartarlo, senza riuscirci. Questa sensazione dura per tutta la lettura. Ecco, il romanzo non dice chiaramente cosa ha dentro, resta una bella scatola che lascia ignari sull’esistenza del contenuto.
Kōbō Abe – L’uomo scatola





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