
Discreto giallo, leggero, scovato per caso tra una montagna di libri usati, si tratta del settimo capitolo di un filone che ha per protagonista il commissario Ponzetti, romano, colto e arguto, metodico e sensibile nel risolvere i suoi casi. Qui ne abbiamo due. Vicende parallele che si intrecciano solo nel finale e risultano un po’ contorte, forse anche dispersive. Da un lato, c’è una liceale che vive con la madre e che, a seguito di uno stage presso la redazione di una celebre rivista, cambia repentinamente umore, isolandosi, rifiutandosi di parlare, in preda a strane fobie. La madre, per caso, incontra Ponzetti, al quale chiede di aiutarla, convinta che dietro a questa apparente crisi adolescenziale si nasconda qualcosa di più inquietante. Il commissario, nel frattempo, è impegnato in un’indagine complessa, ultra complessa, al punto che non ci ho capito quasi niente, il cui fulcro riguarda il furto di opere originali di Jorge Luis Borges, in particolare la sua prima, preziosissima, raccolta di poesie. Le due trame riveleranno connessioni inattese tra personaggi, luoghi e indizi raccolti dal commissario. L’autore, bravo, mescola generi, citazioni letterarie, aneddoti ad effetto, scorci romani e piccole perle sparse qua e là, creando un’atmosfera colta e raffinata, il cui collante è la figura di Ponzetti, che avrei dovuto imparare a conoscere dalla sua prima uscita pubblica e non all’ennesima. Probabilmente è per questo che il romanzo non mi ha acchiappato del tutto, anzi ha permesso che gli sfuggissi, senza lasciarmi nemmeno incuriosire da Borges, i cui occhi credo guardassero altrove.
Giovanni Ricciardi – Gli occhi di Borges





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