
Romanzo intenso e originale nella forma, triste nei contenuti, tragico nei fatti, che ruota intorno ad una famiglia di quattro persone, chiamate semplicemente Padre, Madre, Maggiore e Minore. Maggiore e Minore sono i figli, due ragazzi morti in un incidente d’auto. Il racconto è strutturato come un inventario di 99 oggetti che danno ognuno il titolo ad un capitolo e testimoniano i ricordi del passato, il dolore del presente e un lumicino di speranza del futuro. La prosa è frammentata, i capitoli sono brevi, a volte di poche righe, mischiati senza un ordine cronologico. Motivo per cui, attraverso gli oggetti, la storia viene ricostruita come un puzzle, con i particolari che vengono fuori di volta in volta e raccontano di un prima e di un dopo: una famiglia che si forma e cresce tra amore e difficoltà quotidiane e la stessa famiglia, dimezzata, che va avanti cercando di elaborare il lutto. Gli oggetti diventano contenitori di memoria che mostrano in silenzio l’intimità dei personaggi senza mai farli apparire patetici. E questo è forse l’aspetto che più ho apprezzato, oltre ai quasi invisibili colpi di scena, sparsi qua e là, che descrivono piccoli eventi antecedenti alla tragedia e acuiscono i sensi di colpa di Padre e Madre. Il romanzo tiene la porta aperta alla possibilità di ricostruirsi dopo il trauma. La foresta che brucia ne è la metafora: l’incendio lascia solo la cenere, eppure la vita rinasce a partire dai semi. I corbezzoli, in particolare, alberi sempreverdi, ricrescono per primi e sono proprio due corbezzoli che i genitori alla fine decidono di piantare come simbolo di un nuova alba. L’ultimo dei 99 oggetti e il primo di una storia ancora da scrivere.
Michele Ruol – Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia





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