In principio erano previsti tre giorni (due notti, come dicono i tour operator), un weekend lungo sfruttando il 25 aprile, venerdì. Un brutto imprevisto ci ha però impedito di partire come avevamo programmato. Dal rischio di non andare da nessuna parte, siamo invece riusciti a limitare i danni e modificare tutte le prenotazioni (treno, aliscafo, hotel) senza rimetterci e, anche se solo per un giorno e mezzo, Procida l’abbiamo visitata. Ho qualche storiella da raccontare. Lascio parlare alcune foto nemmeno tanto belle e qualche ricordo buttato qui un po’ a caso, giusto per ritrovarmelo quando non avrò più memoria.





















Siamo in due, io e Ale.
Piove. Da quando partiamo, in treno da Roma, fino a metà del tragitto in mare a bordo dell’aliscafo. Rischiamo pure di perderlo, l’aliscafo. Da Napoli Centrale abbiamo meno di mezz’ora per raggiungere il molo Beverello. Escludendo il tram a causa della pioggia, tra taxi e metro, scegliamo la metro, che – scopriremo – passa all’incirca ogni dieci minuti e la cui fermata è piuttosto lontana dalla stazione dei treni. C’è troppo traffico per prendere il taxi e il tassista a cui chiedo al volo informazioni si dimostra disonesto, sparando una cifra incerta e comunque esagerata per accompagnarci, quando invece so di una tariffa fissa ed economica prevista per quella tratta. Vabbè. Miracolosamente, correndo sotto l’acqua, raggiungiamo il molo, giusto un minutino prima della partenza. Stavamo già pensando al prossimo aliscafo, che però sarebbe partito solo nel tardo pomeriggio. Invece siamo fortunati. Sudati e bagnati, sbarchiamo a Procida.
Sull’isola non piove. Anzi troviamo un bel sole. Prendiamo le bici elettriche, sappiamo che le distanze sono brevi e che si può girare tranquillamente ovunque. Le spiagge non rappresentano sicuramente il punto forte di Procida, il mare non è un granché. Abbiamo portato i costumi ma, visto il poco tempo a disposizione e visto che il tempo meteorologico non è dei migliori, preferiamo starcene zonzo il più possibile.
Ricordo il piccolo hotel, con un giardino pieno di alberi di limone. Procida è ricca di limoni, ne ha una varietà propria, coltivata solo lì da generazioni, caratterizzata dalla parte interna bianca molto spessa e saporita. Il tuttofare dell’alberghetto, il mitico Goffredo, ci mette subito a nostro agio e si prodiga in consigli sulle strade, sui luoghi imperdibili e su un ristorante in cui cenare. La mattina dopo, a colazione (non prevista), ci vengono offerti un caffè e una lingua di gatto, dolce tipico del posto, buonissimo. Ne mangio due, prima che me li portino via. Il proprietario, gentilmente, ci lascia tenere la camera per l’intera giornata.
Ricordo il ristorante. Si trova a Marina Corricella, il borgo più antico di Procida, famoso per l’architettura casuale delle casette colorate che lo riempiono. Passiamo più volte davanti al locale senza vederlo, probabilmente perché ha l’ingresso più nascosto e rientrato rispetto agli altri ristoranti che si affacciano sul mare. La cena è ottima, naturalmente a base di pesce fresco.
Ricordo il proprietario del ristorante. Abbiamo una prenotazione fatta per noi da Goffredo e non ci tiriamo indietro quando ci accorgiamo di trovarci nell’unico posto senza clienti. Solo una coppia ha cenato lì prima di noi, poi nessun altro. I ristoranti intorno invece sembrano pieni. Il proprietario è gentilissimo, ci offre anche un antipasto. Quando, un’oretta dopo, passa tra i tavoli deserti per sparecchiarli, mi fa quasi tenerezza. Raccoglie posate, piatti, tovaglioli con una certa dignità, circondato da clienti non suoi, seduti negli spazi degli altri ristoranti. Ci aspetta per il conto da solo, la cuoca e un ragazzetto che lo aiuta sono andati via. Chiacchierando, mi racconta che il vecchio gestore, non ho capito bene perché, lo sta ostacolando in tutti i modi: non ha trasferito le credenziali di amministratore dell’account Google del ristorante e si “diverte” a sabotarlo, riportando indicazioni sbagliate per i potenziali clienti che cercano informazioni sul web. Il posto risulta chiuso definitivamente, quando invece è aperto e ogni tanto, anziché ristorante di pesce, si ritrova ad essere una piadineria o un ristorante indiano. Il proprietario attuale la prende a ridere ma con una certa amarezza, si capisce quanto sia dispiaciuto per un problema che comunque conta di risolvere presto. Gli lascio una buona recensione, della mancia non ha bisogno. Dopo cena, passeggiando, ripassiamo casualmente da lì: il ristorante è chiuso ma il tizio si è totalmente dimenticato di sparecchiare il nostro tavolo, l’unico rimasto illuminato da una lampada che fa luce sulla bottiglia sotto ghiaccio vuota e i piatti sporchi.
Ricordo l’altro ristorante, quello in cui abbiamo pranzato. Lo ricordo perché si trova proprio in mezzo alla spiaggia e ha una bellissima vista. Non ho idea di chi sia il titolare, nessuno mi racconta retroscena di sabotaggi, nessuno ci offre niente. Mangiamo comunque benissimo e paghiamo la stessa identica cifra della sera prima all’altro ristorante.
Ricordo il Procida Sud Festival, la festa dei sapori locali, un percorso di degustazione che si svolge proprio il sabato in cui ci siamo noi. Risulta essere però un evento molto modesto: in una stradina chiusa sono posizionati cinque o sei stand che vendono ognuno un piattino diverso. Bufala, fave, dolci, birra. Niente comunque che valga la pena di provare. I cartelli con le indicazioni riportano tutti la parola “stend” invece di “stand”, capisco che non si tratta di un lapsus.
Ricordo le bici elettriche, comode per girare con il minimo sforzo. Non ne avevo mai guidata una. Ma c’è da dire che a Procida il traffico risulta davvero fastidioso: andare in bici può essere complicato, perché auto e scooter corrono ovunque, non ci sono zone pedonali e le strade sono strette. Se non sono auto e scooter, sono altre bici elettriche che sorpassano a destra e a manca senza convenevoli. Puntualmente, bisogna fermarsi per far passare.
Ricordo l’ex carcere a Palazzo D’Avalos, visto solo dall’esterno. Si trova a Terra Murata, il vecchio centro storico, che sta in alto e domina l’intero lato dell’isola.
Ricordo Marina Chiaiolella, sul versante opposto, una zona abbastanza vivace, con una spiaggia dove presumo ci si possa rilassare in estate e da cui si vede l’isolotto di Vivara, riserva naturale visitabile solo su prenotazione che avrebbe comportato un trekking impegnativo, se avessimo deciso di andarci. Ma non l’abbiamo fatto.
Ricordo il munaciéllo, il piccolo monaco, uno spiritello del folklore napoletano sul quale sono state costruite infinite leggende popolari. A Procida vendono una piccola statuetta con le sue fattezze, un amuleto che allontana la sfortuna e che compriamo, pur non credendo nella sfiga.
Ricordo un’altra cosa che compro, un libro dal titolo Procida racconta, una serie di racconti scritti dagli autori che ogni anno vengono invitati al festival omonimo, organizzato dalla libreria Nutrimenti e diretto da Chiara Gamberale. “Sei autori in cerca di un personaggio” è il sottotitolo: sei scrittori sbarcano a Procida, identificano un personaggio reale del luogo e gli dedicano una storia breve. Per ogni edizione viene stampato il libro corrispondente. Ho acquistato quello del 2019, perché tra gli scrittori figurano i palermitani Roberto Alajmo e Luigi Lo Cascio, che ammiro molto.
Ricordo il ritorno a casa. Nessuna disavventura lungo il viaggio e una gran voglia di rifarlo presto.




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