
Avevo tanto sentito parlare di questo romanzo che, non so dove, non so come, qualche anno fa ha riscosso un notevole successo. Dicono. Ambientato da qualche parte in Sudamerica, inizia con una ragazzina legata ad una sedia che si scoprirà essere stata rapita da una sua insegnante. Attraverso continui salti temporali e forme diverse di narrazione (ricordi, lettere, dialoghi, monologhi interiori), viene ricostruita una storia di fatto abbastanza semplice, inquietante tuttavia per i risvolti che assume. La ragazza fa parte di un gruppetto di bullette di un istituto femminile dell’Opus Dei, che sono solite riunirsi un edificio abbandonato in mezzo alla natura per cazzeggiare e dar sfogo a macabre fantasie. A capo della cricca ci sono lei e la sua amica del cuore, praticamente due sorelle, che condividono una relazione morbosa ed estremamente malata: il titolo del libro, mandibola, nasce da qui, dal mordere, anche se poi assume un significato più ampio. Succede che le due litigano. La più furba, a mo’ di vendetta, coinvolge, soggiogandola, la nuova insegnante di lettere, una mezza psicopatica traumatizzata, tra le altre cose, da una terribile esperienza: pochi mesi prima, due sue alunne le erano entrate in casa e l’avevano tenuta in ostaggio, maltrattandola pesantemente. La donna viene convinta che l’ormai ex amica della furbetta potrebbe introdursi nella sua abitazione e farle rivivere lo stesso dramma. Così, terrorizzata ma decisa a non ricascarci, la anticipa e la rapisce. Ora, per sommi capi, questa è la trama. La particolarità della storia sta però nel come viene raccontata, una sorta di esercizio di stile in cui si mischiano generi, citazioni, riflessioni su una marea di temi, attraverso una scrittura non proprio appassionante. Un mezzo delirio con personaggi tutti al femminile, poco approfonditi e piuttosto schizzati che, non a caso, fanno parte di quella setta di sfruttatori e papponi chiamata Opus Dei.
Mònica Ojeda – Mandibula




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