
Una serie Netflix che mi è piaciuta abbastanza perché basata su fatti storici realmente accaduti e che, soprattutto, si conclude alla prima e unica stagione, senza obbligarmi ad aspettarne la fine tra chissà quanti anni. Siamo a metà dell’800 in pieno west, nello Utah, un territorio conteso dagli incazzatissimi nativi americani che lo abitano da sempre, dai mormoni violenti e subdoli che vi si sono insediati e dal governo che invia lì l’esercito federale non certo per giocare a carte. In un contesto così pacifico, in cui ci si scanna alla prima occasione, una donna con figlio al seguito cerca di attraversare il territorio per raggiungere la città in cui vive il marito, padre del ragazzo. Dopo qualche peripezia, si fanno scortare da un uomo solitario e scontroso che, indovina un po’, ha un terribile passato alle spalle, ma anche un gran cuore e due palle quadrate. La donna, nonostante i continui avvertimenti, non ha capito un tubo dei pericoli che corrono e puntualmente combina guai, subendone le conseguenze. Mai però quanto l’uomo, che ha pure il dono della pazienza. La trama tuttavia si sviluppa molto sugli intrighi politici e religiosi nonché sugli scontri cruenti, ottimamente rappresentati, tra indiani, mormoni e federali, i quali culminano nel cosiddetto massacro di Mountain Meadows del 1857, in cui fu trucidata una carovana di oltre un centinaio di pionieri disarmati, tra cui bambini e neonati, che volevano solo andare a ovest. In generale, la violenza straborda da ogni puntata e rispecchia la realtà cruda e cupa di quel periodo in quella terra. Emerge però anche tanta umanità che, nel finale strappalacrime, restituisce un po’ di equilibrio, non certo giustizia. Un western ben fatto, avvincente, appassionante e tipicamente americano che, se avessero avuto la meglio i mormoni o gli indiani, non avremmo mai visto.




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