Non è il Dürrenmatt che conoscevo, l’ho trovato però altrettanto geniale, anche se ho dovuto soffermarmi più volte a rileggere i ventiquattro capitoli, cioè le ventiquattro frasi, che compongono il volume e che sono proprio frasi perché separate al massimo da qualche virgola e ogni frase, lunghissima, compone un capitolo, per cui bisogna concluderlo per arrivare al punto, con il risultato che la lettura, come in questo mio post, perde di concentrazione per strada, nonostante sia difficile mollarla, non solo per la punteggiatura da esercizio di stile gratuito ma anche per il suo essere avvincente nella sua complessità, fatta di digressioni filosofiche, per lo più ambientate tra rovine nel deserto, che spaziano dalla necessità delle guerre al bisogno di osservare ed essere osservati per esistere, non è casuale infatti il sottotitolo “Sull’osservare di chi osserva gli osservatori. Novella in ventiquattro frasi” che avrebbe dovuto allertarmi sulle intenzioni dell’autore, il quale racconta una storia che si muove su diversi piani narrativi, un giallo a tinte fantastiche o distopiche e orwelliane legate da un filo logico ingarbugliato nel sadismo di un Dürrenmatt, chissà quanto divertito dal costruire un’opera del genere, un testo che poteva essere qualsiasi cosa, un racconto, un romanzo o un saggio e invece è un po’ di tutto e, per definizione, quindi anche un po’ di niente, eppure emerge dalle tante letture inutili che mi capitano tra le mani, per l’originalità e per questa cosa della punteggiatura, già vista in Saramago e qualche altro, che pure io, qui e ora, ho provato a sperimentare, con scarsi risultati e, vabbè, chi se ne frega, era per dire che questo libro, insomma, almeno ha avuto il merito di stimolarmi, oltre che di incuriosirmi ventiquattro volte di fila, per il resto non lo butto nel cestino, probabilmente lo rivaluterò meglio in futuro, punto.

Friedrich Dürrenmatt – L’incarico