
E con questo, credo di aver terminato la mia esperienza con McCarthy, che non mi aveva esattamente appassionato con Non è un paese per vecchi e Meridiano di sangue, due romanzi belli sì ma anche pallosi da morire. La strada invece – mannaggia a me che l’ho letto con colpevole ritardo, dove la colpa è di McCarthy – è un capolavoro, non a caso Premio Pulitzer di non so quale anno. Le fin troppo accurate descrizioni di paesaggi e ambientazioni sono sempre presenti, come suppongo in tutte le opere dell’autore, ma qui non ci si taglia le vene, si sopravvive, si procede lungo la strada, tra le pagine, con curiosità, per sapere cosa succede, cosa si può trovare, cosa c’è alla fine. Mi è sembrato di essere uno dei due protagonisti, padre o figlioletto non importa, intenti a percorrere un cammino con la speranza davanti, la paura alle spalle e una certa tensione accanto, passo dopo passo: la speranza di trovarmi in mano un buon libro l’ho mantenuta, la paura che fosse letale come i precedenti l’ho superata presto, la tensione è rimasta fino all’ultimo. Insieme alle diverse emozioni trasmesse dal rapporto padre-figlio attraverso dialoghi essenziali e profondi in mondo che non esiste più, in cui però resiste l’umanità. E mi dispiace aver potuto apprezzare questo romanzo dopo che McCarthy è scomparso, sarebbe stato contento di sapere che mi è piaciuto molto.
Cormac McCarthy – La strada




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