La signorina Else è una ragazza viennese benestante che, durante una vacanza in montagna, riceve una lettera dalla famiglia in cui le viene comunicato l’imminente arresto del padre per motivi economici. Per salvarlo, la madre le chiede di intercedere con un riccone, amico del padre, che ha un debole per lei. Tra mille ripensamenti, la giovane accetta ma l’uomo le pone una condizione: dovrà mostrarsi nuda ai suoi occhi per quindici minuti, solo per essere guardata. Siamo nei primi del ‘900, eh. Else, già titubante per l’umiliazione di aver chiesto un favore, entra in crisi per la rabbia e la vergogna. Ha non mille ma milioni di ripensamenti e il racconto, dall’inizio alla fine, altro non è che un monologo interiore tramite cui affronta il finto perbenismo della gente e i sentimenti contrastanti che seguono la proposta indecente. Entra letteralmente in paranoia finché, in preda ai deliri e incapace di controllarsi, resta nuda nella hall dell’albergo prima di svenire tra lo stupore dei presenti, più preoccupati per lo scandalo che per la salute della ragazza. Soccorsa da un parente, in un attimo di lucidità o di ulteriore follia, deciderà di suicidarsi ingerendo un barbiturico. Un flusso di coscienza e di azione troppo intenso e troppo breve per comprenderlo del tutto. Ma ho capito che la signorina Else smette di essere signorina due volte: la prima, quando realizza in che mondo falso vive; la seconda, quando (realizza in che mondo falso) muore.

Arthur Schnitzler – La signorina Else