
Avevo visto il film di Roman Polanski, un capolavoro per l’angoscia e la tensione che riesce a trasmettere e, trovato per caso il romanzo da cui è tratto, ho iniziato subito a leggerlo, sicuro di ritrovare le stesse sensazioni. Se il film è ormai un cult, il libro non è da meno. Ho immaginato gli attori e le scene che ricordavo e, nonostante conoscessi la trama e il finale, cui il film si attiene con scrupolo, non ho mai perso interesse nello sfogliare le pagine. Lo sfigato inquilino, uomo mite ed educato, va ad abitare in un piccolo appartamento lasciato libero da una donna che si è misteriosamente buttata dalla finestra. Giorno dopo giorno, resterà ossessionato dal comportamento dei vicini, i quali lo richiamano continuamente al rispetto del silenzio e dell’ordine e rimarrà intrappolato tra i suoi deliri e i terribili giochetti psicologici orditi contro di lui. L’ansia cresce ad ogni capitolo, quello che sembra un thriller efficace diventa un horror grottesco e la fine apre a diverse interpretazioni, in un vortice diabolico da cui l’inquilino non potrà fuggire. Per lo meno non come è fuggito il proprietario della casa in cui mi trovo adesso, scappato dopo sei mesi che l’aveva acquistata, proprio a causa dei vicini. I quali poi però hanno trovato me, l’inquilino del primo piano, da oltre dieci anni un fantasma che hanno visto solo di spalle.
Roland Topor – L’inquilino del terzo piano




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