
Un romanzo di fantascienza degli anni ’40 che ha reso famoso l’autore, dicono, anche se io non lo avevo mai sentito nominare. Ottant’anni dopo, la fantascienza si è un tantino evoluta, ormai abbiamo letto e visto di tutto. Ciò non toglie che il racconto è curioso, inquietante e interessante per i risvolti e le riflessioni sull’esistenza, la vita e la morte, l’amore e la solitudine e, soprattutto, l’immortalità. Un uomo, in fuga per aver commesso un omicidio, raggiunge un’isola deserta in cui spera di rifugiarsi. Trova una grande struttura abbandonata, ben arredata, con una piscina, stanze, mobili, libri e nessun segno di vita. Dal nulla spunta un gruppo di turisti da cui l’uomo, per paura di essere denunciato, si nasconde abilmente. Spiando i nuovi ospiti, si innamora di una donna che ogni sera si affaccia sulla scogliera per guardare il tramonto. Pian piano, nel suo quasi folle isolamento, si accorge che nessuno sembra vederlo, compresa la donna alla quale decide di mostrarsi per dichiarare il suo amore. Nel frattempo scrive su un diario tutto quel che accade, cercando di dare un senso a dialoghi ed avvenimenti che non riesce a comprendere. Durante una cena, uno degli uomini, tale Morel, fornisce agli altri qualche dettaglio in più sulla sua invenzione, che vede tutti convolti. Il protagonista capirà di essere solo e che, nell’impossibilità di amare, preferirebbe morire. Sceglie però la vita e l’amore e, sfruttando l’invenzione di Morel, l’immortalità. Che detto così non spiega niente, se non che il libro merita una lettura.
Adolfo Bioy Casares – L’invenzione di Morel





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