In questo suo ultimo lavoro, Gipi non sembra Gipi: fa un uso enorme delle parole, comprime otto vignette per pagina in riquadri abbastanza rigidi e insoliti per il suo stile, li riempie con un sacco di facce in primo piano e aggiunge altre pagine di solo testo. L’impressione è che voglia allontanarsi dal ruolo di autore per avvicinarsi al personaggio dentro la storia. Che ha molto di autobiografico. Infatti il protagonista è disegnato a sua immagine e somiglianza, si chiama Gianni (Gipi all’anagrafe fa Gianni Pacinotti) ed è un autore. Uno sceneggiatore per la precisione che, esattamente come accaduto a Gipi nella realtà, vive sentimenti contrastanti di rabbia, frustrazione e confusione a seguito di un’esternazione pubblica che lo ha sommerso di critiche. La gogna mediatica non lo distrugge del tutto, crea però un demone interiore capace di dar voce ai peggiori pensieri e alle peggiori intenzioni, tipo quella di rapire la fantomatica Stacy o di compiere un attentato per eliminare tutti quegli stronzi. Insieme al demone, si sviluppa, intelligentemente va detto, una critica feroce ai social e ad un certo tipo di pensiero, cieco e allineato alla banalità. Alla fine, la collera si placa, pare. Torna la calma, torna Gianni e Gipi torna a fare Gipi. O forse no, chi lo sa. La confusione ha coinvolto pure me. Ho litigato anch’io con il mio demone interiore per finire il libro e non sono sicuro di cosa ho letto ma sono sicuro che era bello. Perché non è bello ciò che è bello se non è litigarello. Almeno credo.
Gipi – Stacy
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