
Due uomini, che da giovani sono stati amici inseparabili, condividendo tutto nonostante la diversa estrazione sociale, si incontrano, ormai vecchi, quarantuno anni dopo l’ultima volta. E hanno qualcosa da dirsi. O meglio, uno ha qualcosa da dire all’altro, dopo che in quei quarantuno anni ha vissuto in totale isolamento nel suo ricco castello riflettendo sulla partenza improvvisa dell’amico, sparito senza avvertimenti né spiegazioni né motivazioni apparenti. Il libro è praticamente un lungo e bellissimo monologo attraverso il quale l’uomo ripercorre le vite di entrambi, dalla nascita della loro amicizia indissolubile fino all’allontanamento dell’altro che, al contrario, ha girato il mondo e pare sia tornato esclusivamente per questo incontro. Uno parla, l’altro ascolta quasi in silenzio. Nella sua narrazione degli avvenimenti, il primo dimostra di aver capito benissimo perché l’amico è fuggito e il motivo, alla fine, è perfino banale ma la bravura di Márai sta nel creare una tensione ed una curiosità crescente nel lettore senza bisogno degli espedienti tipici dei gialli o dei thriller. Il romanzo, chiaramente, è di tutt’altro genere e in più è infarcito di nozioni e riflessioni sull’amicizia e i rapporti umani che non annoiano mai, nonostante le divagazioni e la voglia di sparare al narratore per zittirlo. Voglia che, si scoprirà, in gioventù anche l’amico ha avuto ma che, da vigliacco, si è fatto passare. Per fortuna.
Sándor Márai – Le braci




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