Il mio programma di svegliarmi presto e prendere il primo treno per Vienna va a farsi benedire alle prime luci del mattino: non ho voglia di alzarmi all’alba. Come sempre del resto. Quando mi incammino verso la stazione, intorno alle nove, che è comunque prestissimo, posso apprezzare la città deserta e scattare finalmente qualche foto senza gente in mezzo. Ormai conosco la strada e devo ricredermi su quel che pensavo a proposito degli spostamenti a piedi: esistono percorsi pedonali e piste ciclabili che attraversano gran parte della città e il Danubio, anche se in alcuni tratti si interrompono senza via di scampo. Dal complesso di palazzi in cui ho la stanza ne parte proprio uno che arriva fino al ponte SNP (che sta per Ponte dell’Insurrezione Nazionale Slovacca), quello dell’UFO, e prosegue fino in centro. Non lo avevo identificato la prima sera, facendomi ingannare da Google Maps. In effetti la strada tra la zona di Petržalka e il centro storico è facile da memorizzare ma resta lunga. A Roma un percorso del genere sarebbe pieno di gente che corre a quest’ora. Ho il tempo di fare questo pensiero ed ecco che incrocio i primi podisti, via via sempre più numerosi. Qualcuno appare affaticato, qualcuno sta per svenire e non ce la farà ma magari, essendo il giorno di Pasqua, potrà risorgere. Arrivo alla stazione dieci minuti dopo che è partito il treno. Scopro che per Vienna parte un treno ogni ora, significa che ho 50 minuti di attesa prima del prossimo. Ci sono due bar, uno accanto all’altro, in cui poter fare colazione: uno è grande, moderno, pieno di gente, elegante; l’altro è in stile retrò, vintage forse per scelta o forse no, un po’ malandato e mezzo vuoto. Scelgo questo, mi rappresenta meglio.


Il viaggio in treno passa velocemente, anche perché dormo. Arrivo a Vienna e posso piantare un’altra bandierina sulla mappa dei posti in cui sono stato. Decido di andare subito verso Hundertwasserhaus, le case colorate, distanti dal centro città e ancora di più dalla stazione centrale in cui mi trovo. Uscendo, mi ricordo che non sono a Bratislava, non devo per forza spostarmi a piedi, a Vienna esiste la metro. La prendo senza uscire dalla stazione, in dieci minuti mi porta a destinazione. Ne avrei impiegati quaranta camminando, dice il navigatore. Le case colorate non sono così colorate. Si tratta di un edificio ad angolo dalle forme irregolari e colorate, ok, il colore dominante a me però sembra il grigio che ormai mi accompagna da due giorni. Sarà che il cielo è ancora coperto, sarà che vengo da Bratislava ma non ho davanti lo spettacolo che mi aspettavo. E’ comunque uno scorcio originale ed è la prima attrazione che vedo di Vienna. Una terrazza ad angolo al primo piano ospita una birreria. Una fontana al centro della stradina viene fotografata in continuazione. Ci sono piante che si affacciano dai balconi diversi tra loro. Il terreno ha avvallamenti e collinette su cui salire e scendere e ruzzolare. Nella stradina laterale un piccolo centro commerciale richiama forme e colori delle case adiacenti e forse è pure più bello. C’è un sacco di gente, quasi più di quanta ne abbia vista in tutto il centro di Bratislava. Mi muovo verso il Prater, il famoso Prater di Vienna, che per me era solo lo stadio del calcio. Invece è un enorme parco verde al cui interno si trova un enorme parco divertimenti, pieno di attrazioni abbastanza enormi pure loro, curiose e in piena attività. La più nota è sicuramente la ruota panoramica che credo sia anche uno dei simboli di Vienna. Lungo il tragitto prima del Prater, passo davanti alla Kunst Haus, un museo con una bella facciata, più colorata delle case colorate. Anche il Prater è affollato, soprattutto da famiglie e ragazzini. Lo attraverso per riprendere la metro e andare nel cuore della città. Non so esattamente dove ma, visto che c’è un duomo, vado al duomo. Non ricordavo o proprio non sapevo quanto fosse imponente. Una di quelle cose che è difficile fotografare dal basso perché non c’è spazio per inquadrarla. Me ne faccio una ragione. Rimando la visita all’interno a più tardi. Inizio quindi a girare come faccio di solito, prima spostandomi nei dintorni, dove posso ammirare la cupola verde della chiesa di San Pietro, poi allontanandomi sempre di più senza tappe prefissate. Basta seguire il flusso di turisti per esplorare tutta la zona. Tutta forse è esagerato, perché il centro è già grande di suo, senza considerare le aree circostanti in cui si trovano i monumenti, i giardini, i palazzi e le residenze storiche con le proprie strade e le proprie piazze. A fine giornata il Garmin segnerà quasi 30.000 passi che suppongo siano almeno 15 km.
Vienna è stupenda. Se non avessi il volo di ritorno da Bratislava, resterei qui stanotte. Si respira un’aria da capitale che rispetta la propria storia e al tempo stesso è moderna e in continuo movimento. Soprattutto appare elegante, una città vestita con abiti da sera anche quando dorme. L’associazione con la mia recente passione per l’Opera è inevitabile e guarda caso, quando ci passo davanti, capisco di trovarmi di fronte al Wiener Staatsoper, il Teatro dell’Opera di Vienna, un edificio maestoso che sta per mettere in scena il Parsifal di Wagner: intendo letteralmente, mi trovo lì quando aprono le porte per far entrare il pubblico. Vorrei farne parte ma ho ancora tanta strada da fare, nella vita intendo. Rispetto al duomo credo di essere a sud. A pochi metri riconosco il museo Albertina, ma solo perché me lo indica un’insegna gigante. Salgo delle scale che danno su un terrazza del palazzo e la percorro scattando foto dall’alto sulle vie vicine. Da un lato noto l’ingresso di quello che sembra essere un giardinetto, perché il cancello non è maestoso come tutto il resto. Si tratta invece di uno degli accessi al Burggarten, uno degli immensi giardini che si trovano intorno al centro storico. Sempre a pochi metri si trova invece l’hotel Sacher, più noto probabilmente per il Café Sacher al suo interno, dove fanno l’omonima torta, pare la migliore di Vienna. Ci farei un pensierino ma c’è troppa fila e inoltre non mi sento di tradire le cheesecake che mi hanno accompagnato in questo weekend pasquale. Continuando a camminare, seguendo istinto e turisti, raggiungo Hofburg, il gigantesco complesso di edifici degli Asburgo tra le cui vie casualmente trovo il Sisi Museum, il museo della principessa Sissi, che è chiuso. A un certo punto una donna di una certa età, bella, con i capelli bianchi, mi guarda e si avvicina per dirmi qualcosa. Mi viene quasi addosso, come se dovesse sussurrarmi all’orecchio o mordermi sul collo. La scanso e mi allontano mentre continua a fissarmi con due occhioni azzurri. Vorrei scattarle una foto a distanza di sicurezza ma in un attimo sparisce, non saprò mai cosa voleva fare. Può darsi che me la sia sognata, mah.
Durante la passeggiata, non posso evitare i negozi di souvenir. Come in tutte le città che visito, devo comprare uno quei brutti bicchierini di vetro, da shot, come ricordo da aggiungere ai duecento che ho a casa, prevalentemente rubati nei locali in vent’anni di onorata carriera di ladro nei pub. Uno di questi negozi svende guide di Vienna a un euro. Ci sono tante foto ma… sono in lingua giapponese. Bene, ne prendo una, tanto mi basta guardare le figure. Non compro invece le solite calamite per gli amici, perché costano troppo e perché sono più brutte dei bicchierini. Mi fa sorridere il merchandise (adesivi, t-shirt, calamite) che riproduce un cartello con la scritta “No kangaroos in Austria“, per via di tutti coloro che confondono l’Austria con l’Australia, come spesso avviene fuori dall’Europa. Un negozio a tema Gustav Klimt, celebrità nazionale, mi incuriosisce per la varietà di oggetti, dai fazzolettini alle lampade, che riproducono le sue opere. Un’altra immagine che mi piace è quella delle carrozze con i cavalli che portano in giro i turisti. I cocchieri, per moda o per caso, indossano in tanti la bombetta e gli occhiali neri.











A metà pomeriggio, torno al duomo per fotografarlo meglio. Pago l’ingresso per entrare nella torre sud, dove una stretta scala a chiocciola con 343 gradini porta in cima, ad oltre 130 metri di altezza e premia la faticata con una vista magnifica. Da un lato si può ammirare il Tetto delle Piastrelle formato da 250.000 mattonelle. Che sono 250.000 me lo ha detto una ragazza con cui ho sceso poi le scale. Le ho creduto, non mi andava di contarle. Nel frattempo mi sono fissato con un effetto in bianco e nero della fotocamera e scatto ogni foto due volte, una a colori e una senza. Non ottengo ancora risultati soddisfacenti. In tutto ciò chiaramente ho anche mangiato e fatto delle soste e così è trascorsa la giornata. E’ chiaro che ho solo dato un’occhiata in giro, posso dire di essere stato a Vienna ma non proprio di averla visitata. Al tramonto prendo la metro per andare alla stazione e tornare a Bratislava. In viaggio mi addormento. Vengo svegliato dal controllore al quale mostro il biglietto. Poco dopo mi sveglia un altro controllore e gli rispondo, assonnato, che avevo già fatto vedere il biglietto al suo collega. Mi fa notare che lui è quello slovacco, l’altro era quello austriaco. Non avevo pensato che si stesse attraversando il confine. Sono certo che un giorno lo attraverserò di nuovo, dall’Italia, per rivedere Vienna. A Bratislava mi convinco di non essere stanco ed evito ancora gli autobus per tornare in camera. Tra l’altro, essendo l’ultima sera, voglio fare delle foto notturne lungo il tragitto che, giusto per ricordarlo, è di cinque chilometri.










Se vuoi…