Servant

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Una giovane tata viene assunta da una famiglia benestante per accudire un bambino appena nato. O appena morto. Non si sa. Perché quando la tata arriva a casa si ritrova a badare ad un bambolotto che la madre premurosa le affida come fosse davvero suo figlio. E’ l’inizio di una storia piena di risvolti inquietanti spalmata su quattro stagioni, oggettivamente troppe, che tra alti e bassi riesce a riprendersi – fregandomi – ogni qualvolta un episodio noioso o inutile invita a spegnere tutto e andarsene a dormire. M. Night Shyamalan evidentemente si è divertito con questo giocattolo in cui ansia, paura, sospetti, situazioni paradossali e reazioni assurde si alternano in allegria senza far capire da che parte stanno il bene e il male. Eppure mi ha coinvolto fino all’ultima e definitiva puntata, trasmessa la scorsa settimana da Apple TV+, che chiude il cerchio sui misteri accumulati per quattro anni. Tranne uno: il bambino. Ho fatto un po’ di corse e nottate per arrivare al gran finale insieme al resto del mondo, merito soprattutto della bella e carismatica servant, un angelo caduto che accoglierei volentieri pure io qualora avessi un figlio. Anche se mi basterebbe trovare un bambolotto.

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