C’è sempre una prima volta. No, non è vero. Ci sono prime volte che non saranno mai. Ma questa, la mia prima all’Opera, era scritta nel destino nonché nella mia to-do list. Doveva succedere. Al Teatro dell’Opera di Roma è andata in scena l’ultima replica di Aida e io mi trovavo lì, in dolce compagnia, ad occupare una poltrona comoda perché sì, ok, era una bella poltrona, soprattutto però era centrale e vicina al palco e questo per merito di un amico che ringrazierò per anni, non perché ha messo la poltrona lì ma perché ha messo me su quella poltrona. Ero contento. Avevo grandi aspettative per l’Opera in sé, a prescindere da cosa avrei visto. Dell’Aida conoscevo vagamente la storia e ignoravo il finale, per cui ogni scena è stata una sorpresa continua, tipo un film al cinema, solo più emozionante. Le aspettative non sono state deluse. Quattro atti, quasi tre ore e trenta di durata, gente entusiasta e preparata in materia ed un’atmosfera magica, soprattutto per il teatro che già avevo trovato suggestivo quando lo avevo visitato al buio e vuoto e che, illuminato e stracolmo, mi è apparso magnifico. Con le luci soffuse si trasforma in qualcosa di mistico, come il golfo in cui era acquattata l’orchestra che, sotto la guida di un direttore giovane, somigliante a Joey di Friends, è apparsa eccezionale perfino a me. Durante un intervallo mi sono avvicinato alla fossa, non immaginavo così tanti elementi, alcuni rilassati, altri in intimità con il proprio strumento per provare la parte durante la pausa. Mi è piaciuta la musica nei brani corali, ho avuto un sussulto alle prime battute della Marcia trionfale, da pelle d’oca, l’unica traccia che per me non aveva bisogno di presentazioni. Il resto ho provato a godermelo. Ridendo, pensando, osservando, scambiando opinioni con chi avevo accanto. Non ho termini di paragone ma credo che l’Aida non sia un’opera facile. In mancanza di un libretto, i soprattitoli in italiano e in inglese, lì sopra il palco, mi hanno supportato entrambi: il testo in italiano per seguire il canto e la voce degli interpreti; quello in inglese, più spicciolo e comprensibile, per seguire la trama. La scenografia era vivace e di grande impatto visivo, con effetti luminosi e colori accattivanti. Le coreografie e i balletti non mi hanno mai annoiato. Vorrei poter dire qualcosa di sensato ad esempio sulle estensioni vocali dei protagonisti o sul “montaggio analogico, l’occhio della madre, la carrozzella col bambino” (cit. Fantozzi)… per dire che mi piacerebbe avere sensibilità sulla roba più tecnica, peccato che non ne capisca una mazza. Certo è che mi ha impressionato quasi tutto e queste righe strampalate le ho volute mettere insieme proprio per fissare, quasi a caldo, le prime sensazioni di un’esperienza che conto di ripetere a breve. E poi ancora. E chissà che non mi metta scrivere non-recensioni, oltre che su libri e serie TV, anche sulle opere a cui assisterò. Ma non credo proprio, quella è una prima volta non sarà mai.












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