Un libro che ha il potere di tenerti incollato alle pagine e che, aiutato dal maltempo, vince sulla voglia di uscire o di guardare un bel film può solo ricevere applausi, anche se non rimarrà il tuo romanzo preferito. Mi è successo questo con “L’abito da sposo”, che avevo intercettato gironzolando per Anobii e subito mi aveva rapito, tanto da metterlo in cima alla pila di letture in attesa. Poi la trama. Un noir solidissimo che scorre come un bicchiere di birra quando si ha sete e l’acqua non dà abbastanza soddisfazione. Il ritmo all’inizio è veloce, la voce narrante per mezzo di una scrittura efficace non permette che si possa perdere una riga né sorvolare su una parola. Ogni particolare tornerà utile successivamente quando, nemmeno troppo tardi, si inizierà a capire cosa diavolo sta succedendo. Lì il ritmo cambia, viene scandito dai giorni vissuti da un nuovo protagonista che prende letteralmente il comando dando agli stessi eventi tutto un altro significato. Pian piano i ruoli si invertono e i dettagli tornano a galla sotto una nuova luce, in attesa di un finale che non sarà spumeggiante ma che si aspetta con ansia e che, a differenza dell’acqua, darà molta soddisfazione. Tutto questo, a rileggere ciò che ho scritto a caldo, potrebbe assomigliare alla storia di un qualsiasi matrimonio, con i suoi fuochi d’artificio iniziali, gli alti e bassi, i diversi punti di vista, gli incontri, gli scontri, la vita insieme, la pace. La morte.
Pierre Lemaitre – L’abito da sposo
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