Testa o croce? Lancerei in aria la monetina come fa continuamente uno dei protagonisti per decidere se consigliare o meno questo romanzo. Testa: sì, leggilo. Croce: mah, sfoglialo anche svogliatamente e mettilo nel curriculum, può darsi che tra qualche anno diventi un classico della narrativa del quale vantarsi. Insomma, bello è bello eppure noiosetto in troppi punti, probabilmente perché il realismo isterico, il genere a cui appartiene, si articola su una narrazione priva di una vera e propria trama e ricca di infinite digressioni.
Denti bianchi è infatti un miscuglio di storie che evolvono senza risolversi e che tuttavia non si perdono, nemmeno quando affrontano tematiche delicate quali l’immigrazione, la convivenza di culture diverse, il fondamentalismo religioso, l’etica della scienza. Storie legate tra loro che ruotano intorno ai membri di due famiglie nella Londra multiculturale dalla fine degli anni ’70 in poi e dove l’unica sicura protagonista è la prosa. Non succede nulla ma quel nulla è raccontato benissimo, si allunga fino ad una conclusione che non fa una piega e che un po’ amaramente lascia lì appesi, con dubbi e problemi esistenziali, i poveri personaggi. Resta lì appeso anche il lettore, contento di aver impiegato il suo tempo con un signor libro e ancora più contento di averlo finito.
Zadie Smith – Denti bianchi
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