Nella cantina ci sono tutti. Gli amici, i genitori, il bimbo, un tizio, il passato. La musica si mischia alle chiacchiere, le risate hanno quasi già lasciato la sedia ai postumi del vino, che pure abbonda nella bocca degli sciocchi. L’atmosfera è divertita. Si respira un’aria familiare, di piccoli gesti e grandi racconti, come alla fine di una festa, quando qualcuno si porta via il segreto e le facce cambiano espressione per la stanchezza. Un particolare però domina la scena: è il silenzio, perché in realtà la musica è una sensazione e, a guardar bene, nessuno parla. Tranne te, che all’esterno non hai scelta.
Ci sono momenti in cui le parole non bastano ma sono tutto quello che hai. Non puoi gridare, non puoi lanciare vasi, non puoi né mai devi alzare le mani, a meno che non sia per arrenderti. Non puoi andartene, perché perderesti il domani di cui hai bisogno. Zitto non riesci a stare, il silenzio resterebbe fuori mentre dentro le voci si accavallerebbero senza sosta. E allora parli. Ti prendi la scena senza essere il protagonista e parli. Parlare è l’unico modo che ti resta per sfogarti, sperando di essere ascoltato, sperando di arrivare a chiarire. Per chiarire serve la luce, servono i colori. E i toni, le note, l’armonia. La musica, quella sincera, che non mente. E quindi, le emozioni. Devi solo riuscire a metterle insieme alle parole giuste, facendo attenzione a non usarne troppe, ché poi diventano pesanti, o troppo poche ché potrebbero essere fraintese. Per chiarire, devi spiegare. Per spiegare, devi usare bene quello che hai.
Non è mica facile. Prima, c’è stato evidentemente qualcosa che ti ha turbato. Dopo… non sai ancora cosa ci sarà dopo, eppure sei rimasto, vuol dire che speri di riprendere il tuo posto in cantina. Nel mezzo c’è qualcosa tipo uno sforzo, un ragionare d’istinto con il timore concreto che quel posto tu lo abbia perso. C’è la voglia di non mollare, certo un po’ impari, va sempre così quando la ferita – un taglio chirurgico perfettamente eseguito da una o due parole di troppo – sanguina ancora.
Tra quei momenti tuttavia ce n’è uno, uno solo, in cui sai che quella notte sarebbe stato più semplice e più naturale e non ci sarebbe stato bisogno di tanti discorsi né della musica e il tizio e il passato avrebbero fatto solo le comparse e la birra sarebbe stata vino, il latte non sarebbe diventato un incubo e il segreto, chi se ne fotte del segreto e ogni parola sarebbe stata un sospiro, ogni sguardo un desiderio, ogni secondo un contatto e i puntini di sospensione sarebbero rimasti tre e soltanto tre come deve essere e tutto ma proprio tutto sarebbe stato bellissimo, lo sarebbe stato domani e sarebbe stato chiaro da subito, se lei non avesse avuto il ciclo.
Se vuoi…