Le curiosità e gli spunti di riflessione su questo romanzo sarebbero molteplici ma ne dovrei scrivere uno altrettanto lungo per esporli e non ne sono capace. Avevo visto il film e mi incuriosiva il libro da cui era stato tratto, immaginando una lettura poco impegnativa al termine dell’estate. Beh, dimentichiamoci del film. Il libro è un’altra cosa. Gli zombi qui sono un pretesto per approfondire le conseguenze di una calamità di portata mondiale, entrando nel dettaglio dei comportamenti umani e delle reazioni dei governi, nonché di cosa succederebbe nella vita pratica di tutti i giorni. Io, per dire, non avevo mai pensato che gli zombi potessero “vivere” e muoversi sott’acqua, camminare nelle profondità dell’oceano e quindi risalire sulla terraferma: non è un’invenzione fantastica di chi scrive di zombi, è un’ovvietà, una conseguenza logica dell’essere zombi.
Le invenzioni di Brooks sono altre e, a differenza di come avrebbe fatto il papà (il grande Mel), tutt’altro che comiche, anzi piuttosto plausibili e spesso pungenti. Il problema (dico “problema” col senno di poi, perché l’intuizione poteva essere buona) è che l’intera storia è raccontata attraverso interviste, lettere, comunicati non accompagnati da alcuna narrazione, privi di protagonisti o personaggi guida: si tratta di un susseguirsi di documenti con – tra l’altro – troppi refusi per risultare efficace. Le idee per un romanzo intelligente e fuori dagli schemi c’erano tutte, alla fine invece rimane un libro di zombi.
Max Brooks – World War Z
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