Sì, avete tutti ragione. Vi comprendo. Ma cercate anche di comprendere me. Se potessi, quei libri li comprerei uno dopo l’altro, anche in formato digitale ora che ho il Kindle. Farei lo stesso con i film, con la musica. Mi piacerebbe poter acquistare un DVD, un CD o un vinile quando ne ho voglia, eppure sono sempre costretto a rimandare. Costano. Non sta a me giudicare quanto, hanno un prezzo e basta. Un costo che, specialmente in tempo di crisi, mia soprattutto, non posso sostenere. Tuttavia conosco bene certi meandri del web. Parole criptate per dire che so essere un bravo pirata. Esatto, scarico da internet tutto ciò che posso scaricare. No… un attimo, intendevo dire “potrei essere un bravo pirata”, eh. Non significa che lo sia, mi muovo nel pieno rispetto delle regole, della legalità, della regalità… qualche volta, quella roba, me la regalano.
Da oltre un annetto, cioè da quando ho assistito all’evento dell’estate scorsa, il concerto al Circo Massimo degli Stones, un uomo (e non una donna) ha iniziato ad incuriosirmi come raramente mi era capitato prima. A forza di sentirne parlare, Keith Richards è diventato improvvisamente uno di quei personaggi di cui avrei voluto sapere il più possibile. Perché, al di là delle sue doti e del suo talento, si porta dietro una storia tanto lunga quanto incredibile, da tramandare per ciò che ha fatto e per ciò che rappresenta. Un simbolo, un mito… non saprei definirlo, di certo è un’icona del mondo della musica e non solo. Oltretutto è estro, follia e, per quando ne so, vita trascorsa al limite. Ecco, un anno fa io ho capito che dovevo conoscere Keith Richards.
Tutti abbiamo una storia, anzi siamo una storia. Ognuno di noi lo è. Una storia che si intreccia continuamente con altre e crea romanzi di generi indefinibili, che vanno oltre l’ultimo capitolo. Storie che vale la pena approfondire, storie che è giusto ignorare, storie che non conosceremo mai e storie che dobbiamo conoscere, come quella dei nostri compagni di vita. O quella di personaggi come, appunto, Keith Richards.
Ho ammirato per anni, da appassionato di tennis, Andre Agassi, un vero idolo della mia generazione dentro e fuori dal campo. “Open”, la sua biografia, è stata una lettura affascinante che ha continuato a catturare la mia attenzione addirittura mentre gironzolavo per il Giappone e avrei dovuto interessarmi a ben altri argomenti. Ma era Agassi. Ho avuto il suo poster attaccato al muro, ho comprato le sue scarpe, ho amato il marchio Nike solo perché lo sponsorizzava (salvo poi odiarlo perché costava), ho impugnato una racchetta per avvicinarmi idealmente a lui.
Sensazioni simili, legate alla fame di storie di persone che la storia l’hanno fatta, le ho provate con Alessandro Magno. Alessandro non è una storia, Alessandro è storia. Io mi chiamo Alessandro e, per questo inutile dettaglio, ho trascorso gran parte dell’adolescenza venendo accostato a lui in battute e paragoni improponibili da parenti e amici. Ho letto un paio di sue biografie, sfogliando spesso pagine a bocca aperta e occhi spalancati per via degli aneddoti e le leggende che accompagnano il suo mito.
Recentemente ho letto (sono d’accordo, avrei dovuto farlo molti anni fa) “Sulla strada” di Jack Kerouac, romanzo autobiografico che più di una volta mi ha portato a domandarmi quanto intensa e figa fosse stata la vita dell’autore, quel viaggio, la sua storia. Non escludo che me lo abbia solo fatto credere ma, anche in questo caso, non ho potuto non ammirare l’uomo protagonista di tante avventure.
Sull’onda delle biografie da divorare, il mese scorso mi sono ritrovato tra le mani la storia di John McEnroe, altro grandissimo personaggio capace di oltrepassare le linee del campo da tennis per far parlare di sé – e molto – senza racchetta in mano. A volte pure con una chitarra, è andato persino vicino a suonare su un palco proprio con Keith Richards.
Ancora prima, avevo finito in pochi giorni la storia (o per lo meno una sua versione) della vita di Cagliostro, uomo ambiguo ed enigmatico, il cui nome tutt’oggi richiama magia ed esoterismo e rappresenta menti diaboliche e personaggi misteriosi circondati da auree non esattamente positive.
“L’opera struggente di un formidabile genio” di Dave Eggers, letta molti anni fa, è stata la biografia di un uomo sconosciuto. E’ sinora l’unico caso in cui ho apprezzato proprio la biografia per come è stata raccontata e non l’uomo che raccontava, tra l’altro mai sentito nominare prima.
E poi, continuando a scavare nella memoria, mi viene in mente la biografia di Gandhi, che però dovrà aspettare ancora prima di entrare nelle mie grazie. Non mi spiego il perché. Ogni cosa a suo tempo, arriverà anche il suo.
Probabilmente dimentico qualcosa. Ho senza dubbio letto altre biografie interessanti, ma evidentemente né la vita narrata né il protagonista mi hanno colpito. Ma cosa hanno in comune i personaggi che ho elencato? Difficile dirlo. Impossibile mettere accanto Alessandro Magno e Gandhi, Cagliostro e Agassi. Credo però che un pezzetto della loro storia abbia incrociato e influenzato la mia e non in maniera involontaria, perché io li ho cercati. Banalizzando, trovo tanto estro, talento, un certo successo, una buona dose di pazzia, la ricerca della vetta, tanta competenza in quello fanno e una testa grande così. Anzi di più. Tutte doti che io non ho, che mi affascinano e di cui mi nutro come posso, leggendone dove meglio si ritrovano.
Nei meandri del web, ieri sera sono riuscito a trovare “Life”, la biografia di Richards. L’avevo cercata per mesi ma quel dettaglio del costo me l’aveva fatta inserire nella lista desideri. Ora sono contento di averla spostata nella lista delle cosa da finire. L’ho già assaggiata e sto morendo di fame. Vado a mangiare.
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