Dopo giorni e giorni di ricerca disperata e biancheria accumulata sul divano, arrivo all’inevitabile decisione di sostituirla. Metto un’inserzione su un giornale locale e me ne dimentico. Tra un impegno e l’altro, i kitchen party, un paio di viaggi fuori porta e qualche serata anabbagliante, non mi preoccupo della casa. E’ lei però, la casa, che si preoccupa per se stessa e mi avverte del suo malessere attraverso segnali inequivocabili: oggetti che spariscono, altri che compaiono all’improvviso, polvere che si materializza negli angoli più impensati, ragnatele nel frigorifero, forme di vita aliena nel cestino dell’immondizia, ectoplasmi sotto il cuscino. Io non recepisco.
Un paio di giorni fa, alle sette e trenta del mattino, che per me è notte piena, il mio cellulare vibra. Chi mi conosce sa che il telefono a quell’ora deve restare in silenzio e infatti a farlo vibrare era un numero che non conoscevo. Lo ignoro e richiudo gli occhi. Passano cinque minuti e il telefono vibra di nuovo: un altro numero sconosciuto mi sta chiamando. Penso possa essere la banca che, per l’ennesima volta, vuole farmi presente che il mio conto è andato in rosso ma è troppo presto, mi pare che le banche aprano intorno alle otto e mezza. Penso a qualche urgenza in ufficio ma è l’alba e poi figuriamoci se possa fregarmene qualcosa. Forse è Antonella e allora, oltre a richiudere gli occhi, mi giro pure dall’altra parte. L’ho cercata troppo a lungo, non mi serve più.
La mattinata procede regolarmente: colazione, doccia, vestizione, Vespa, traffico, ufficio. Cioè procederebbe regolarmente se non fosse per quel cazzo di cellulare che continua a mostrarmi numeri sempre diversi a ripetizione. Mi insospettisco, penso anche ad uno scherzo. Alle dieci circa l’ennesima telefonata mi obbliga a rispondere.
E’ Ramona, una ragazza apparentemente giovanissima che in un italiano stentato mi dice che è disponibile per il servizio. Le dico che ha sbagliato numero, non ho chiesto escort per la notte. Non recentemente almeno. Poco dopo rispondo a Olga, altra donna di facili costumi, penso. Chiudo non riuscendo a capire una parola tra quelle – quattro – che ha pronunciato. Chiama Arturo, brasiliano, molto forte a suo dire e a questo punto sono ormai sicuro di essere vittima di uno scherzo o un malinteso. Si susseguono contatti e brevissime conversazioni con Carmen, Veska, Elsa, Diana, Luciano, Doina (o qualcosa del genere), Taisiia (le ho chiesto lo spelling) e, finalmente, Beatrice che tanto gentile e tanto onesta pare e parla la mia lingua. E’ grazie a lei che tutta la mia vita casalinga mi passa davanti attraverso rapide immagini, tipo i flashback dei film in cui nel finale si rimettono insieme i pezzi e si scopre chi è l’assassino: la mia prima camicia stirata, la montagnetta di biancheria sul divano, i batuffoli di polvere che rotolano per il corridoio, il ragnetto con i moscerini sul soffitto. Poi strani personaggi affollano la mia mente: Mastro Lindo, Mister Muscolo, Anitra WC, il mocio Vileda, Coccolino. Bolt però è il più veloce a ricordarmi dell’annuncio che avevo fatto pubblicare sul giornale. Realizzo, ora è tutto chiaro.
Mi rendo conto, come se non lo sapessi già, che in giro c’è bisogno di lavorare. La gente fa il possibile per racimolare qualche soldo. Quasi mi dispiace dover spiegare che a me serve qualcuno solo per due ore a settimana, cerco di chiarirlo subito. Mi telefonano mamme, ragazze disoccupate, molte signore straniere, persino persone che hanno un regolare lavoro ma che hanno necessità di arrotondare. Molte sembrano pregarmi. In poco tempo non so più che fare, non posso rispondere a tutti.
Beatrice è la prima cui do appuntamento. Non si presenta. Aspetto una signora che sembrava cortese e diceva di avere delle referenze. Non si presenta. Chiamo una mamma che sembrava aver bisogno, non risponde nemmeno al messaggio. Cerco l’impiegata, non può venire la mattina perché lavora. Un’altra vive in una casa famiglia e ha difficoltà a spostarsi con i mezzi. Mi chiedo come sia stato possibile ricevere oltre trenta telefonate in due giorni e non essere ancora riuscito ad incontrare nessuno. L’annuncio spiegava tutto: le due ore settimanali la mattina, l’indirizzo esatto, il compenso. Avevo pure specificato quanto è grande la casa e che sporadicamente sarebbe servito stirare. Niente.
Arrivo al fine settimana senza concludere niente. Continuo a ricevere richieste e fissare appuntamenti. Nel frattempo però, dopo tanto tempo, riprendo in mano il ferro da stiro e, esattamente come accaduto la prima volta che ho stirato, mi brucio una mano. Mollo tutto e preparo la valigia mettendoci dentro tutta la biancheria: torno dalla mamma, almeno per una settimana. Quanto alla casa, beh, la cambierò.
Se vuoi…