Uno, nessuno e ventitré

Il piano inclinato

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La storia di un ragazzo senza futuro che, da un villaggio del Mali, si incammina verso una vita migliore, sognando un mondo nuovo. Muovendosi attraverso le infinite difficoltà che incontra, incapperà in una serie di scelte sbagliate, ad alcune delle quali riuscirà a rimediare tramite l’esperienza che man mano matura, mentre ad altre purtroppo non troverà soluzione. Non si tratta di un personaggio buono e nemmeno cattivo. E’ una persona, un uomo con pregi e difetti, uguale a chiunque altro. Uguale si fa per dire, nel caso di un profugo e immigrato. Ha le sue idee, le sue forze e le sue debolezze ed è costretto ad imparare in fretta, a fare tesoro di ogni piccola novità. Tuttavia, la realtà che lo accoglie, in realtà, non lo accoglie affatto e non è soltanto un gioco di parole: il suo unico vantaggio è di essere minorenne e pertanto, fino alla maggiore età, almeno in Italia, non viene lasciato per strada. Questo, dopo essere sopravvissuto al deserto, ai lager libici, al mare, alla violenza fisica. Compiuti diciotto anni però deve cavarsela da solo e non si rende conto che il piano inclinato su cui sta scivolando, tra casualità e voglia di riscatto, lo porta verso il baratro. Lo stesso romanzo scorre su un piano inclinato, si legge velocemente e altrettanto velocemente, pur non creando troppa empatia, permette di comprendere appieno cosa accade nella testa del protagonista. Almeno fino ad un certo punto, perché il finale scioccante, che poi è racchiuso nell’ultima riga del libro, è un misto di confusione, casualità e terribili certezze, un po’ come la mia dieta in questo momento, le cui ultime righe però sono ben lontane dall’essere scritte.

Roberto Alajmo – Il piano inclinato

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