
Nel 1959, gli abitanti di un un villaggio sperduto chissà dove spariscono improvvisamente. Tutti. Nella piazza centrale viene rinvenuto, legato ad un palo, il corpo di una donna che è stata lapidata e, in una casa vicina, una neonata ancora viva. Degli altri non si sa e non si saprà nulla finché, sessant’anni dopo, una giovane regista imparentata con una delle famiglie scomparse decide di girare un documentario su quanto accaduto. Si reca così sul posto con una troupe di amici per scoprire magari qualcosa che in passato è sfuggito alle indagini. Qualcosa tipo novecento persone sparite senza che nessuno, tra autorità, polizia e parenti vicini o lontani, si sia degnato di cercare bene. Eppure non era difficile. Questo è un grosso buco nella trama. Il racconto alterna eventi del passato e del presente che scorrono di pari passo sino alla spiegazione finale. Che è abbastanza ridicola come un po’ tutta la storia, anche se nel complesso risulta avvincente. Perché al villaggio pare esserci ancora un’entità malvagia che minaccia la tranquillità dei nuovi arrivati. E non è che non li fa dormire o gli ruba le merendine, li ammazza proprio. Peccato che abbia davvero poco senso. Del resto pure per me ha poco senso continuare a farmi fregare da letture del genere, sapendo che resterò deluso: il romanzo traballa, ma regge fino a tre quarti delle pagine, salvo poi perdersi come il villaggio, senza alcun motivo di recuperarlo.
Camilla Sten – Il villaggio perduto




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