
Se non lo è già, a mio modesto avviso lo diventerà: un piccolo caso letterario, un’opera che forse non si era mai vista prima. O meglio, letta. Non parlo di un capolavoro della narrativa ma di un romanzo, autobiografico, originalissimo per scrittura, linguaggio e anima. Janek è, come si dice, un barbone, un senzatetto di origini polacche che vive a Roma da trent’anni. In una lingua inventata, un italiano essenziale di un cittadino dell’est, racconta la sua vita tra le difficoltà quotidiane, le piccolissime gioie e i traumi che la strada gli ha portato, affrontando anche i suoi trascorsi in Polonia e i motivi che lo hanno spinto a venire in Italia senza un soldo. Janek non è un santo né un filosofo. Fa il fabbro, lavora sodo, aiuta gli altri quando possibile, ci litiga e fa a botte, beve, tenta il suicidio, si perde e si ritrova ma soprattutto, con un’umanità gigantesca, semplicemente vive e sopravvive. Nel suo girovagare incontra Christian Raimo, lo scrittore, che lo ospita per un periodo a casa sua e lo convince a scrivere di sé. Janek lo fa, senza fronzoli, senza volersi mostrare diverso da quello che è, senza fare la vittima. Descrive la sua esperienza nuda e cruda, con zero enfasi, apparentemente in maniera breve, solo 150 pagine, in realtà svelando un mondo che sembra finto per quanto è vero e che non è solo il suo e dei disperati come lui ma un po’ di tutti noi. Un libro che non passerà agli annali e che non si leggerà nelle scuole e che però regala diverse riflessioni da sottolineare: frasi inutili se isolate dal contesto, fantastiche all’interno della storia. Questa storia.
Janek Gorczyca – Storia di mia vita




Commenti?