19 agosto 2011

Mansilla de las Mulas. Percorsi oggi 37 km. León dovrebbe essere a 20 km da qui, domani provo a recuperare qualcos’altro. Camminando durante il giorno penso a tante cose che avrei dovuto scrivere e che la sera, per la stanchezza, non ricordo. Come ieri, a proposito di quella città che spunta all’improvviso con la strada che sembra finire e invece è in discesa… mi spiego pure malissimo. Oppure di tutti i luoghi, chiese e monumenti che trovo lungo il Cammino e che non ho tempo di guardare come vorrei. Spesso non so nemmeno come si chiamano. In questo diario però cerco di metterci tutto. Un giorno, rileggendo il dettaglio delle tappe, spero di ricordarmi le cose più belle. E’ un po’ come le foto: ne ho fatte tante ma ne potevo fare di più e difficilmente mi ricorderò dove le ho scattate.

Sono le 18.30 e scrivo ora ché poi, la sera, altrimenti mi limito a parlare dei miei piedi e della strada da fare. Giulia era stupita del mio bagaglio microscopico. In effetti non credo di aver visto zaini così piccoli. Forse uno, forse due.

Oggi mi sono svegliato alle 4.30 perché volevo partire prestissimo ma avevo sonno e poca volontà. Anche l’umore non era buono. Ad un certo punto mi sono anche rimesso a letto. Alla fine sono partito alle 6.00 con il solito passo lento. Appena fuori Sahagún mi sono bloccato perché non vedevo più segnali e perché i ragazzi che mi stavano davanti mi avevano seminato.

Mi fermo per quasi mezz’ora, non so cosa fare, anche perché sono al centro di una rotatoria dove passano le auto. Trovo un segnale ma non si capisce bene quale strada indichi. La torcia frontale sarebbe stata più utile di quella a dinamo che mi sono portato. In ogni caso non avrebbe cambiato le cose. Avrei preso la strada per León, quella delle macchine, di certo non mi sarei perso.

All’improvviso, dal buio dietro di me viene fuori una figura strana, chiara, che non riesco a mettere a fuoco. Mi sembra una mucca, poi capisco che è più piccola e penso ad una pecora. Però sono ad un incrocio stradale, credo sia difficile si tratti di animali. Si avvicina a me velocemente, sono curioso di capire. Per due secondi vengo illuminato da una torcia. E’ una ragazza. Una ragazza bella che spinge una specie di carrello bianco. E’ un carrellino strano, basso, a tre ruote con tanta roba dentro. In inglese, la ragazza mi dice quale pensa sia la strada. Mi sento in un film di David Lynch o in una favola o in una di quelle storie in cui all’improvviso viene qualcuno a salvarti. Tipo la venditrice nel deserto in quel film con Pierce Brosnan, “Caccia spietata”, mi pare. La chiamo “la fatina”, la seguo ma è velocissima nonostante spinga il carrellino. Non riesco a starle dietro. Nel frattempo sorge il sole. Da dietro spunta un ragazzone australiano con cui avevo scambiato due parole al bar del primo paesino dopo i 17 km di mesetas. Lui la raggiunge dopo un po’ e si mettono a chiacchierare, io li seguo per non perdermi la strada.

La tappa non è brutta ma molto solitaria e con strade piene di sassi. Perdo di vista i due e procedo seguendo le frecce. Giunto al primo paese mi accorgo che non è il paese che mi aspettavo. Ci sono le frecce, va bene uguale. Capisco però che, uscendo da Sahagún, la fatina mi ha suggerito la calzada romana che non so se è il percorso classico o alternativo ma è più lungo e faticoso. Niente paesi né fonti d’acqua né altri pellegrini. Un deserto. Dopo tre ore la fatina e l’australiano mi ripassano davanti, probabilmente si erano fermati da qualche parte. Nel frattempo dei ciclisti mi avevano chiesto, vedendomi solo, se avessi bisogno di acqua: non avevo nemmeno mezzo litro ma no, non ne avevo bisogno. Quando la fatina mi affianca scopro, con mio grande stupore, che dentro il carrellino c’è una bimba! Incredibile. Questa spingeva un passeggino con la figlia dentro!

Io intanto sto morendo. Fatina e australiano sono lontani ormai, non so nemmeno se hanno fatto la stessa strada. Ho quasi finito l’acqua e dopo ogni collina e ogni curva spero di trovare il prossimo paesello, Reliegos. Questo invece non arriva mai e lo sconforto a volte è tanto. Per chilometri e chilometri non vedo nulla. Ogni tanto le conchiglie che segnano il percorso mi dicono che la strada è giusta, così penso solo che prima o poi da qualche parte devo arrivare. E finalmente arrivo. Il paesazzo è su una vallata, per questo non potevo vederlo. Il bar mi sembra un sogno. Trovo fatina e australia, fatina è proprio carina. Dopo un po’, sotto gli occhi di tutti, mette la pupa nel carrello e riparte come se nulla fosse. Australia mi dirà poi che Marie ha ventuno anni e che era partita da Saint-Jean-Pied-de-Port due giorni prima di me. Qualche giorno fa ho visto una famiglia (padre, madre e quattro figli) che spingevano una specie di carrozzina con sopra il figlio paraplegico. Li ritrovo, la fatina gli si avvicina. Australia mi ha detto pure che in alcuni albergue non l’avevano accettata, non ritenendola una buona madre. La piccola però, Charlotte, stava benissimo.

Arrivo al paese successivo e mi fermo. In albergue, manco a dirlo, mi raggiunge Bruno con cui poi ceno raccontandoci di noi. Lo andrò a trovare in Italia. Qui trovo anche Jesus con cui faccio una foto e scambio i saluti visto che domani si fermerà a León, come tutti. C’è anche Gionata e gente simpatica con cui parlare, tra cui una francese che incrocio da qualche giorno e mi invita a bere vino. Ora riparazione dei piedi e nanna. Domani 42 km. Spero.

Rossana: “tu non hai capito niente del Cammino”.


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